La Macchina e la sua Storia

Ai Viterbesi è sempre piaciuto,per manifestare il loro fervore religioso organizzare e partecipare alle processioni con baldacchini ed altari votivi.

Le cronache antiche ci parlano di quella per il Santissimo Salvatore,organizzata a S. Maria Nuova o quella di Maria SS. Liberatrice.

Entrambe vedevano una grande partecipazione di popolo e di autorità al seguito di una immagine religiosa,posta su un altare devozionale, non di rado abbellita da scenografie,stoffe pregiate,fiori ed illuminate da innumerevoli fiaccole e candele.

Mutuando un termine del teatro classico greco,tutto questo marchingegno veniva chiamato “macchina” o,appunto, “machinè”.

Anche per la piccola Rosa , i viterbesi, a partire dallo storico 4 Settembre 1258,organizzarono e parteciparono ad una processione annuale trasformatasi gradualmente nel meraviglioso spettacolo di oggi.

Gli storici narrano con certezza di macchine riccamente addobbate,rivestite di panni preziosi e portate a spalla dai fedeli e seguite dal Clero,dalle Autorità e dalle varie Corporazioni,fin dal 1300.

Anche a Roma se ne trasportarono di simili e quelle viterbesi erano principalmente dedicate, come dicevamo, al SS.mo Salvatore,alla Madonna Liberatrice o della Trinità e,quella del 3 Settembre, a Santa Rosa. Poi,intorno al 1650 tutte le attenzioni della città si concentrarono sulla sola Macchina di S. Rosa,forse perché la Santa aveva liberato la città da una orribile pestilenza.

Una sorta di bando pubblico ”ante litteram” proclamò il bozzetto più bello, mentre una delegazione cittadina suggerì di innalzarne l’altezza.

E’ invece del 1700 la disposizione comunale di costruire una copertura fissa a S. Sisto per costruire più agevolmente tutta la struttura. Anche le famiglie nobili viterbesi,rivolsero la loro attenzione di munifici “sponsor” verso la Macchina di S. Rosa.

All’ incirca del 1690 è il primo bozzetto conosciuto. Si tratta di un semplice altare barocco con alla sommità una statua di S. Rosa,inginocchiata in preghiera. Il disegno,naturalmente non in scala, non ce ne fa apprezzare l’altezza ma sicuramente si è molto lontani dagli attuali trenta metri. Lo stile delle costruzioni rimarrà pressoché invariato per secoli. Le uniche varianti sono costituite dall’elevazione della costruzione e dal moltiplicarsi di fregi,putti e fiaccole.

Purtroppo la storia della Macchina è funestata da alcune gravi sciagure, la più grave delle quali avvenne nel 1801 quando le grida di una spettatrice,derubata dei suoi gioielli a Fontana Grande fece imbizzarrire alcuni cavalli dei soldati in servizio di controllo.Il panico che ne derivò fu grande ed alla fine si contarono circa venti morti.Per di più la Macchina,quella stessa sera, prese fuoco nei pressi di piazza delle Erbe. Comunque,dopo alcuni anni di sospensione, la tradizione riprese con nuovo vigore.

Si succedono vari modelli,la maggior parte ideati e costruiti dai Papini,vera stirpe di viterbesi legati alla Santa e alla Macchina.

Nella costruzione furono introdotti vetri colorati,dipinti raffiguranti scene della vita e dei miracoli di Santa Rosa,ma lo stile rimase quello classico,salvo alcune variazioni scenografiche introdotte dal costruttore Vincenzo Bordoni nella seconda metà del 1800.

Il testimone passò poi agli Spadini,ma sul finire del XIX secolo una nuova generazione dei Papini tornò sulla scena a proporre tutta una serie di nuovi ed innovativi modelli di Macchine. L’ultimo della famiglia ad accollarsi l’onere e l’onore della costruzione fu Virgilio, cui spetta il record di durata dell’appalto. La sua “creatura” passò per le strade buie di Viterbo,dal 1924 al ’51,salvo l’interruzione dovuta alla seconda guerra mondiale.

Nel 1952 Rodolfo Salcini vinse il nuovo concorso,con una costruzione a quei tempi avveniristica. Portò infatti l’altezza a 25 metri,sostituì il legno della struttura portante con una lega metallica e introdusse alcune statue allegoriche costruite in cartapesta. Nel 1958 Angelo Paccosi si aggiudicò l’appalto con un modello in stile gotico,riaffermando un temporaneo ritorno all’antico.

La vera rivoluzione però arrivò nel 1967,quando Giuseppe Zucchi vinse il concorso con il suo Volo d’Angeli,un modello di Macchina capace di arrivare ai 30 metri di altezza ed unire,in una mirabile sintesi costruttiva,tutte le caratteristiche architettoniche della città. Cambiò il vecchio traliccio interno con uno di moderna generazione ed a forma di cannocchiale,modificò la disposizione dei Facchini e ne eliminò le file esterne alla struttura,così da far sembrare la costruzione più alta e maestosa. Purtroppo però il primo trasporto del Volo non arrivò mai a S. Rosa. La macchina si fermò al termine di via Cavour,forse per l’eccessivo peso,forse perché troppo alta oppure perché alcuni Facchini furono scelti tra i meno adatti alla bisogna.

Quel fermo del ’67 rappresentò però uno spartiacque verso le Macchine future. Si farà più attenzione,negli anni a seguire,alla sicurezza di tutto il trasporto,furono introdotti materiali più leggeri e,soprattutto,vennero poste le basi per la costituzione di quel Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa che costituirà per il divenire garanzia e certezza per la Festa tutta.

La “creatura” di Zucchi venne trasportata fino al 1978,quando gli subentrò Spirale di Fede,prima Macchina di S. Rosa progettata da una donna; Maria Antonietta Palazzotti Valeri. Questo modello ebbe l’onore di effettuare due trasporti eccezionali.

Il primo a Luglio del 1983,per celebrare il 750° anniversario della nascita di S. Rosa,mentre il secondo,nel Maggio dell’anno seguente,coronò degnamente la visita a Viterbo di Papa Giovanni Paolo II.

Il concorso del 1986 vide trionfare l’opera di un artista viterbesi,Roberto Joppolo che, con la sua Armonia Celeste volle ricostruire una “summa” dei principali monumenti viterbesi,sormontati da una allegoria di angeli ascendenti al cielo.

Grazie all’incredibile capacità e forza dei Facchini,questa Macchina durante il primo trasporto non causò una tragedia quando, al culmine della salita di S. Rosa,forse per l’eccessivo peso,rischiò di cadere sulla folla.

La splendida Sinfonia d’Archi di Riccardo Russo si assicurò la vittoria nel concorso seguente. Il suo modello sarà ricordato come uno dei più originali,avendo avuto il merito di distaccarsi dai consueti canoni di costruzione e coniugando in una mirabile sintesi artistica archi,scale e profferli viterbesi.

Gli architetti Andreoli,Cappabianca e Cesarini, con la loro Tertio Millennio Adveniente avranno l’onore di traghettare la Macchina di S. Rosa oltre il duemila ed innalzarsi,con una slanciata ed elegante struttura che ripercorre architettonicamente la storia del nostro territorio, oltre i trenta metri di altezza. Attualmente viene trasportata dai Facchini,nella magica sera del 3 Settembre,la costruzione ideata da Raffaele Ascenzi,architetto e Facchino egli stesso. La sua Macchina prende il nome di Ali di Luce ed ha introdotto,con grande originalità,un movimento meccanico di alcune parti della struttura che,durante le soste,si aprono a guisa di luminosi petali di fiori. L’impatto visivo è di grande suggestione e, unito ad una elegante triplice fila di angeli,posti sulla riproposizione di fontane cittadine, ad un innovativo e sapiente sistema di illuminazione, pone Ali di Luce tra le più belle ed ammirate Macchine di Santa Rosa.